mercoledì 21 settembre 2011

Fotografie di Antonio Di Cecco


Vorrei segnalarvi questo interessante evento fotografico inserito nel festival della fotografia di Roma che mostra lo stato dei paesi intorno all'Aquila.

Sono trascorsi più di due anni dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009. È tanto? È poco? Sembra passato tanto tempo se si pensa al G8, all’occupazione in stile militare della Protezione Civile, al programma CASE trionfalmente annunciato e in qualche modo portato avanti, alle inchieste giudiziarie, all’insieme di proclami, immagini, dichiarazioni. Poco, molto poco tempo è passato per chi all’Aquila e nei paesi della valle continua a vivere e che ricorda quella notte e tutto quello che successo da lì in poi come una catena ininterrotta di fatti divisi tra un “prima” e un “dopo”.
I (pochi) turisti che visitano la bellezza ferita dell’Aquila e dei dintorni sono alla ricerca di foto spettacolari, di grandi crolli, ma trovano solo tubi Innocenti e silenzio. Non suona troppo retorico dire che Antonio Di Cecco è riuscito a fotografare il silenzio? È questo il primo dato che il bianco e nero severo e scavato di queste fotografie rivela. Poi le case abbandonate di Paganica e degli altri centri minori che mostrano il contrasto tra modernità e il mondo rurale d’origine. Le foto degli avi alle pareti ricordano un mondo antico ma che è appena di ieri. La modernità ha modificato il senso di appartenenza ai luoghi: non ci sono più bestie da accudire, resta forse qualche orto e pochi vecchi che resistono. Chi vince, per ora, è la natura che ritorna prepotente ad occupare le case, le vie, le piazze, alterando antichi equilibri. Il valore di queste fotografie è che sono una denuncia implicita, non esibita, di quello che non è stato nemmeno iniziato e che invece bisogna compiere. Questo è e sarà il compito di uomini di buona volontà e di profonda ostinazione come Antonio Di Cecco. E anche il nostro.


Alberto Saibene, Milano settembre 2011

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