Indosso il caschetto.
Insieme ai tanti altri disegnatori, ai vigili del fuoco, ai fotografi, entro nella “zona rossa” dell’Aquila.
Bastano pochi passi perché io capisca che, questa volta, disegnare sarebbe stato un compito difficile e amaro.
I miei occhi si sforzano di penetrare l’intrico di contrafforti di legno e di metallo rosso, giallo, nero, per raggiungere gli edifici che vi si nascondono.
Per quanto mi sforzi, però, mi accorgo che la città è stata sostituita. Le nuove, provvisorie (?) architetture denunciano le forze in gioco. Le spinte, i pesi, le tensioni, sono lì, svelate e rese materia.
Non posso fare a meno di cadere preda di questa bellezza altra da quella preesistente.
Dentro di me inizia a manifestarsi un contrasto forte, doloroso, tra questa nuova estetica e la sofferenza che, essa stessa, denuncia in maniera così disperata.
Oscillo tra pensieri opprimenti e meraviglia, tra compassione e analisi.
Arriva il momento di disegnare.
Buio totale.
Alla fine cedo e non ascolto più la mia parte morale, quella che mi dice che è la sofferenza di questa città a dover essere rappresentata.
Rappresento quello che vedo.
L’operazione intellettuale, morale, sarà successiva.
Ne vengono fuori quattro appunti.
Li completerò poi, utilizzando la memoria e la distanza per renderli compiuti. La sedimentazione di questa esperienza sarà il filtro necessario.
Così è stato.
Questi sono i miei disegni. Quattro.
Spero, in qualche modo, di essere riuscito a far passare il dramma di questa città.
Lo spero davvero.
Gianluca Garofalo
"i denti rossi" che escono dalla bocca-finestra...
RispondiEliminaun ghigno che non cessa di stringersi...